Ovvero di quella volta in cui avevo finito la benzina al sesto chilometro e ne dovevo correre ancora 15
Appena dopo la barriera di Milano-Est
un cartello di Autostrade spa mi informa che viviamo in uno splendido Paese (?)
e mi invita a scoprirlo. Per farlo, questa mattina, devo percorrere qualche
chilometro ed arrivare a Carvico (con l’accento sulla i). Qui in mezzo a
capannoni vuoti, paesini che si susseguono tutti uguali senza soluzione di continuità,
centri commerciali e lavaggi auto a gettoni (sigh!) c’è spazio per un po’ di
verde ed una collina, spuntata lì per caso, giusto apposta per organizzarci una
skyrace bella tosta.
La
mattina è già calda e abbronzate sono le facce della maggior parte dei podisti convenuti, traccia
della recente stagione di skialp che volge al termine. In mezzo a questo campionario
ben assortito di retici, scesi in pianura per la prima skyrace dell’anno, la
mia domanda è sempre la medesima: che ci faccio io qui? Accanto alla
competitiva il banchetto della Fiasp sembra fornirmi una valida risposta. Mi
strizza l’occhio cercando di sedurmi con una 21 non competitiva, che non
richiede mentalità, allenamento e propensione da skyrunner. Ma oggi il
tapascione che alberga in me non l’avrà vinta e il countdown della skyrace allontana
le tentazioni dell’ennesima domenica vissuta tranquillamente.
La
prima
salita arriva subito: prima si corricchia poi si sbuffa camminando al
ritmo dei più lenti. Il primo ristoro è già qui. Guardando in alto mi
accorgo che davanti ci sono tutti, ma proprio tutti. Nonostante ciò
colgo la sensazione di essermi tirato il collo. Lo spirito competitivo è
tentatore e allo
scollinamento già sono senza benzina, nonostante la fiducia che il
dislivello
macinato negli ultimi mesi aveva fatto crescere in me.
Nella discesa riacquisto
posizioni, ma è quando inizia la parte pianeggiante che vorrei già tornarmene a
Carvico (sempre con l’accento sulla i). La spia rossa già mi segnala il
peggio. La seconda salita, bella tosta, appare insieme a nostra Signora al
12esimo km. Prima di compiere l’impresa, sotto un sole ormai a picco, mangio quello
che trovo al ristoro. Mi superano tutti quelli che possono definirsi tapascioni
della domenica (senza citare agili signore attempate e panzoni travestiti da
skyrunner già passati da tempo). L’autostima (qualora mai ce ne fosse stata) è ormai qualche metro
sepolta sotto le mie Cascadia. I chilometri mi passano, mentre cerco plausibili
giustificazioni ad una debacle del genere: le ripetute di ieri, la notte
insonne, la genetica bastarda (driiin, l’accendiamo? si l’accendiamo). Si sta
ripetendo il copione dell’ultima gara con pettorale (se ne perde quasi il ricordo).
Al sedicesimo km, mentre in lontananza lo speaker elenca l’ennesimo arrivo di
giornata (NdR ricordarsi tappi per orecchie la prossima occasione) affronto l’ultima
asperità di giornata. Il sole ormai è alto, gli ultimi (ma ce n'erano altri dietro me?) mi superano come fossero
dei Killian appena partiti. Questa volta, però, il motore sembra ripartire, salgo
al ritmo con cui avrei dovuto salire la prima salita (senza strafare) e la vista
della bombola di ossigeno prima dell’ultimo muro cancella ogni stanchezza dalle
mie gambe. La picchiata degli ultimi due chilometri verso l’arrivo, in una
specie di canale/sentiero che il fango avrebbe reso un toboga pericolosissimo,
mi fa apprezzare maggiormente il caldo torrido di questa domenica di aprile.
Termino appena sotto le tre ore quando stanno ormai premiando gli over 60 (!).
Ma come sempre a consolarmi è il fatto che sia rimasta della birra anche per gli
ultimi.
PS:
sembra che l’ultimo ristoro fosse rimasto a secco di rifornimenti (se è così
bacchettata agli organizzatori). Ciò mi ha permesso di recuperare sui podisti in
preda ai crampi e arrivare prima della scopa. Per il resto l’organizzazione mi
è sembrata quella di una skyrace degna dello splendido Paese in cui vivo. Vi invito a
scoprirla il prossimo anno!
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