sabato 10 novembre 2012

Cronaca di una (S)fortunata ING NY City marathon

Se c’era una probabilità su un milione di veder svanire un sogno, io dal cilindro ho pescato proprio quel numero. Dopo un anno di preparativi e di attesa, proprio sul più bello si è materializzata la beffa: quello che doveva essere un sogno , si è trasformato in un incubo. Il businnes (altro che Sandy) hanno vanificato tanti sacrifici, mettendo il Dio denaro davanti a tutto.
Ma partiamo dall’inizio: dopo varie mail di minaccia (presentati o perdi i diritti sui voli) e rassicurazioni (il sindaco dice che si farà) finalmente il giorno della partenza è arrivato. Io e il compagno di avventura Giuseppe, ci presentiamo puntuali all’imbarco dell’ AA non senza timori per l’eventualità di ritardi o cancellazioni dei voli. Niente di tutto questo, e puntuali come degli orologi Svizzeri, veniamo imbarcati e spediti oltre oceano, destinazione Big Apple.
L’emozione è grande: negli States ci sono già stato due volte, ma per NYC è la prima cui va aggiunto il motivo, quello di correre la maratona più famosa, ambita e affollata di tutto il mondo. L’hotel prenotato è al centro di Manhattan e sinceramente non ci rendiamo conto dei disagi che i cittadini stanno vivendo in questi giorni. La vita scorre frenetica come da tradizione della città e solo alcuni ragazzi venuti dall’Italia lamentano dei disagi (chi ha prenotato appartamenti nella zona sud dell’isola, si trova senza acqua e energia elettrica).
Il giorno dopo l’arrivo (Venerdì 2 Novembre), tutti di buon mattino a Central Park per la foto di gruppo e corsa di 10K con le star del momento, cioè Orlando Pizzolato e Linus. Il parco è chiuso perché il vento di inizio settimana ha abbattuto alcuni alberi, e operai stanno liberando i viali in vista della domenica. Poco male, ci accontentiamo di girare lungo il perimetro, con la rassicurazione che per il giorno dopo tutto sarà in ordine e i cancelli riaperti. Doccia veloce e subito al Jacob Center per il ritiro del pettorale, primo vero segno concreto dell’inizio avventura. Naturalmente tutto è all’altezza dell’evento, con una coda chilometriche ma composta, di maratoneti che attendono di entrare e una efficienza nella distribuzione veramente ammirevoli: nel giro di 5 minuti tutto è fatto, e ci possiamo gettare nella kermesse dell’expo, vero fulcro del businnes pre gara, con decine di espositori che mettono in vendita tutte le ultime novità per il pianeta corsa, con dei prezzi decisamente competitivi rispetto a quelli italiani. Nessuno, me compreso, può resistere alla tentazione, ma che problemi ci sono, un efficiente servizio navetta con bus, collegano il Center con i vari hotel dove sono alloggiati gli atleti, così anche i più carichi di borse e scatole non fanno fatica a raggiungere la propria meta. Naturalmente tutto si svolge in una atmosfera euforica, che nessuno poteva immaginare come la classica “quiete prima della tempesta”, tempesta che si materializza in serata, con notizie che prima giungono dall’Italia (con e-mail e sms) e solo successivamente da chi abbiamo profumatamente pagato, cioè l’organizzazione a NYC: la maratona è annullata! Come annullata, ma il Sindaco aveva garantito!...... Michelle Obama e l’opinione pubblica dicono che le priorità in questo momento sono altre! Michelle? Ma non può essere la stessa che si batte per i più deboli!
Eppure è così, l’imponderabile è accaduto, l’incubo si è avverato, le ragioni economiche (mascherate sotto la voce sicurezza) hanno cancellato quello che per molti era e resterà un sogno. Inutile dire dell’amarezza che proviamo tutti, chi è arrivato il venerdì sera e con ancora le valige in mano si sente confermare la notizia nella hall dell’hotel, chi per non mancare a volato a proprie spese prima a Londra poi a Toronto e poi fino in macchina giù a NYC, chi ha portato moglie e figli, eppure ……. non si discutono i motivi morali della decisione, ma dirlo prima no? Lasciarti prendere la decisione quando eri ancora in Italia no? E quelli arrivati dalla Nuova Zelanda? E i Giapponesi? E i Sudafricani? E la ASICS (sponsor principale) che il Sabato venderà tutto al 50%? (per molti oltre il danno anche la beffa sugli acquisti fatti il venerdì!).
Cosa fare? Niente! Contro chi ti metti? Il sindaco di NYC? L’opinione pubblica americana? La First Lady? Cerchiamo di guardare avanti e cercare di vivere il resto dei giorni nel miglior modo possibile.
E così sabato mattino ci ritroviamo tutti a Columbus Circle per correre una 21K finalmente in un Central Park come nuovo. Questo almeno non me lo può togliere nessuno, e tra tanti runner che
arrivano da tutto il mondo, mi sento un poco come Dustin Hoffman nel famosissimo film “il Maratoneta”, libero di correre lungo le sponde del laghetto che è all’interno del parco. Non vi dico la delusione nel vedere che tutto era già pronto per la domenica: indicazioni delle ultime 2 miglia già montate, così come le transenne, i palchi e gli striscioni dell’arrivo! Praticamente tutto pronto, compresi i cavi tirati delle telecamere e le postazioni televisive!
Preferisco non parlare dell’assemblea svolta il pomeriggio del Sabato, dove ci è stato proposto di tutto e di più per il giorno successivo (tutto scritto sulla Gazzetta dello Sport di Domenica 4 Novembre). Mi rendo conto che gestire una situazione così difficile in così poco tempo non è sicuramente cosa facile, ma credo anche che l’umiltà in certe situazioni sia l’arma migliore, arma che non è per niente stata usata da chi si è presentato sul palco, con il rischio che il tutto degenerasse in rissa.
Così arriva anche la Domenica mattina. Con molta nostalgia, io e il mio compagno (ora non più di avventure ma di disavventure) ci ritroviamo nella hall e subito capiamo che potrebbe comunque essere una giornata indimenticabile: parecchi gruppi si stanno preparando per correre in Central Park (Sudafricani, Spagnoli, Messicani) ma l’atmosfera non è di rassegnazione, anzi, regna una allegria quasi contagiosa, segno che la passione e la voglia di correre e divertirsi è più forte della cattiva sorte. Con centinaia di altri runner, in 5 minuti copriamo la distanza che ci separa dall’ingresso del parco e subito le nostre impressioni vengono confermate: chi è giunto da fuori Stati Uniti si è sicuramente dato appuntamento qui! Sono le 8 del mattino, ma già miglia di persone stanno correndo, chi in un senso e chi nell’altro, sull’anello di asfalto lungo circa 9,5K che segue tutto il perimetro del polmone verde di NYC. Vedo Sudafricani, Colombiani, Messicani, Giapponesi, Italiani, Francesi, Spagnoli, Tedeschi, Svedesi, insomma quasi tutto il mondo riunito sul quel pezzo di strada. Naturalmente non mi resta che gettarmi nella mischia e piano piano, tra una foto e un filmato, comincio a macinare chilometri. Penso: “ma cosa fare ora? Non ho fatto colazione e con me ho solo una barretta ai cereali. Per 2 giri può bastare, ma che peccato, in valigia ho tante di quelle bustine di gel! Se solo ci avessi pensato prima!e l’acqua? Beh, qualche fontanella in giro si vede e funziona” con questa idea che mi gira per la testa, continuo a correre con sempre più gente attorno che mi sembra intenzionata a fare più dei 2 giri proposti dall’organizzazione.
Poi, mentre il sole scalda anche l’aria, ai bordi della strada si vedono sempre più persone che ci incitano e che ci offrono anche dei generi alimentari. I gruppi più organizzati (Francesi e Spagnoli) hanno creato delle vere e proprie aree di sosta per i loro atleti, con le borse per il cambio e il tavolo rifornimenti, presidiati da chi era venuto solo come accompagnatore (vedi moglie e figli). A questo punto mi dico:”Perché non approfittarne? Mi sento in forma anche se ho corso parecchio nei giorni scorsi, e vuoi che mi neghino un cioccolatino e un bicchiere di Gatorade?”
Così pian piano, approfittando della generosità degli altri (mi sono fermato da un gruppo di spagnoli e chiedendo loro se mi potevano aiutare a finire i 42 km, mi hanno rifornito di gel, merendine, banane e integratori) ho iniziato anche a pensare che in qualche modo la mia maratona a NYC potevo anche farla: non quella del ponte di Brooklyn e di Harlem, non quella dei rifornimenti programmati e degli spugnaggi, non quella delle miglia segnate e dei Pacer, non quella dell’arrivo con il cambio e la navetta per l’hotel, ma una più semplice, più vera, non programmata e fatta solo con il cuore e la testa, senza una organizzazione che ti aiuti a sopportare la fatica. E dopo 4H e 45min. ci sono riuscito, ho realizzato (anche se a metà) il sogno di poter corre una maratona a NYC. Aiutato dalla spontaneità di persone che anche nella cattiva sorte hanno trovato il modo di sostenere chi aveva fatto tanti sacrifici per esserci. Mi sento orgoglioso per quello che ho fatto, ma soprattutto mi sento orgoglioso di appartenere a un popolo (quello dei runner o corridori) che ha accettato una ingiustizia senza protestare, senza una vetrina spaccata o muri imbrattati, senza cortei e manifestazioni, vivendo il momento per quello che era, cioè una festa di gente e di sport.      
Così, con questi pensieri e con la consapevolezza di aver fatto tutto quello che si poteva fare, me ne sono tornato con le mie gambe (neanche tanto indolenzite) verso l’hotel, dove mi aspettava Giuseppe. Naturalmente avrei voluto vivere una Domenica in maniera diversa, ma se devo essere sincero, anche così è stata una esperienza emozionante e indimenticabile. Tanti Italiani hanno preferito correre solo 2 giri e prenotare via internet chi Torino chi Firenze, ma secondo me hanno sbagliato: teniamo presente che le prime edizioni della maratona di NYC si sono svolta tutte all’interno del Parco, e così facendo, chi come me ha avuto la costanza di correre i 42K, ha fatto un salto nel passato, dove forse tutto era più a misura d’uomo (e di donna), niente a che vedere con i 350.000.000 (leggi trecentocinquanta milioni) di dollari del giro d’affari dell’edizione 2012.
Avrei preferito anche vivere un rientro in Italia (e non mi riferisco al viaggio) differente, ma va bene anche così, avrò qualche cosa di diverso da raccontare.
A chi avesse, in futuro, intenzione di partecipare a questo evento, dico: nonostante tutto, ne vale la pena, non scoraggiatevi, dopo 40 anni è stata la prima edizione a saltare, perciò le probabilità che accada di nuovo sono molto remote. È un grande avvenimento a cui vale la pena partecipare, perché si vive in una atmosfera che non si trova in nessun altra corsa nel resto del mondo. Anche se, a detta di chi ha vissuto altre esperienze (in America e in Europa), si possono investire meglio i frutti dei propri risparmi.
Personalmente non credo che ritenterò l’avventura. Voglio continuare a correre, partecipare a maratone in Italia e all’estero, ma questa era e rimarrà un’occasione unica (i 50 anni capitano una sola volta nella vita) e in futuro mi piacerebbe vivere queste competizioni/emozioni con il resto della famiglia.
Un saluto a tutti i Treessini


Massimo Colombo

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